Osservazioni sulla Proposta di Legge ‘Disposizioni in materia di partecipazione popolare alla titolarità di azioni e quote delle società sportive’

Disposizioni in materia di partecipazione popolare alla titolarità di azioni e quote delle società sportive’ C. 836/S. 1120 Molinari;  https://www.senato.it/leg/19/BGT/Schede/Ddliter/58192.htm

(via: supporters-in-campo.it)

In merito all’iniziativa legislativa che intende disciplinare la partecipazione dei tifosi nelle società sportive, SinC continua a ribadire la propria posizione scettica. Pur ritenendo lodevole l’interesse del mondo della politica sulla tematica, crediamo che si tratti di un’azione sbagliata sia nel metodo che nel merito. Sottolineiamo, con rammarico, l’utilizzo della definizione “azionariato popolare”, che , richiama l’aspetto finanziario (esteriore e superficiale) in luogo di quello partecipativo (sostanziale e profondo, che a noi sta a cuore) e riecheggia, sin dagli anni ‘90, la cessione di pacchetti di quote ai cittadini a prezzi popolari, nell’ambito della privatizzazione delle aziende pubbliche, senza alcun potere reale di partecipazione alla governance delle aziende. Tale definizione è, purtroppo, utilizzata anche da taluna letteratura scientifica ed è inopportunamente rifluita anche in Wikipedia.

Il tema trattato è meritevole di approfondimento poiché è più complesso di quanto la semplicistica definizione “azionariato popolare” sembrerebbe indicare.

Il confronto ultradecennale con realtà internazionali, nonché il continuo scambio di idee e pratiche all’interno del movimento italiano sin dai suoi albori, ci ha portato a considerare il lavoro sul territorio come primo obiettivo da perseguire nel lungo percorso di legittimazione del movimento. La riuscita, o meno, dei progetti di partecipazione attiva va osservata sul campo e nel lungo periodo: irreggimentare (come vorrebbe la proposta di legge) i tentativi multiformi attualmente presenti sarebbe oltremodo controproducente, tanto più tramite iniziative che non hanno coinvolto in maniera veramente attiva il movimento di base dei tifosi. La crescita e la presa di coscienza del ruolo che può avere il tifoso, se adeguatamente coinvolto nei processi decisionali, passano tramite un percorso culturale lungo e complesso: lo insegnano gli altri Paesi, in nessuno dei quali, peraltro, si è registrata tale pervasività della politica in merito. Data la specificità del contesto italiano, inoltre, l’esperienza sul campo ha un peso notevole per comprendere ciò che funziona e ciò che non potrebbe funzionare. Riteniamo che nella diversità degli approcci sviluppati, pur mantenendo saldi i principi di democrazia, inclusività, apertura, accessibilità e indipendenza (qui Associazionismo dei tifosi e partecipazione popolare attiva: finalità, organizzazione e principi guida), ci siano le basi per uno studio approfondito del fenomeno: un’azione estremamente necessaria per orientarsi verso la strada giusta e dare davvero un supporto alle iniziative spontanee e costruttive dei tifosi, senz’altro da preferire alla realizzazione di un provvedimento spot, inutile allo stato delle cose, per il fine che si propone di perseguire.

Nei modelli spagnolo e tedesco, più volte menzionati dai promotori, si è ricorsi all’intervento del legislatore solo dopo un percorso di oltre vent’anni, con l’obiettivo contrario rispetto alla finalità ispiratrice del progetto di legge in esame, ossia per limitare lo spazio di partecipazione dei tifosi. I club spagnoli, che nascono come associazioni di persone, sono divenuti dagli anni Novanta delle SAD, ovvero società per azioni il cui oggetto sociale è limitato all’attività sportiva, in cui qualsiasi soggetto può acquistare finanche la maggioranza o la totalità del club: sono solo quattro i club professionistici hanno mantenuto la forma associativa, tra cui si segnalano i casi di Barcellona e Real Madrid, i quali, tuttavia, non sono stati in grado di garantire la democraticità della associazione, come evidenziato nella memoria consegnata alla VII Commissione Cultura, scienza e istruzione della Camera dei deputati (consultabile qui).

In Germania, è stata introdotta la deroga alla regola per la quale tutti i club iscritti nella piramide calcistica abbiano l’obbligo di essere un’associazione di persone: tale eccezione, conosciuta come “50%+1” consente l’ammissione ai campionati dei club non partecipati interamente dai tifosi purché gli stessi ne mantengano appunto la maggioranza, consentendo agli sponsor di acquistare la minoranza e influenzare, con logiche differenti rispetto a quelle della passione, la governance delle società sportive. Inoltre, sempre in Germania, è stato consentito ad alcuni club storicamente legati a grandi industrie locali di eliminare la partecipazione dei tifosi.

In sostanza, con l’introduzione delle SAD si è decapitato l’associazionismo nel mondo professionistico spagnolo, e con la deroga del “50%+1” si è fatto un passo indietro rispetto all’associazionismo che pure ha caratterizzato i club tedeschi fino agli inizi degli anni 90.

In Germania, il supporto ai tifosi (che, come abbiamo visto, partecipano direttamente al capitale del club) viene fornito tramite significativi contributi messi a disposizione da parte delle leghe delle società di calcio. Nel sistema-calcio tedesco, esiste una rappresentanza di tifosi presso le federazioni sportive e,  nonostante già vi fosse la partecipazione dei tifosi nel capitale delle società sportiveproprio in quel contesto è nata l’idea di creare figure di raccordo tra i tifosi e le società di calcio, che ha portato all’istituzione della figura dello SLO (Supporters Liason Officer) nell’ambito del sistema delle licenze UEFA – e, di rimando, nel sistema delle licenze delle federazioni appartenenti alla UEFA.

Tutti questi interventi e azioni appena elencati non sono stati di natura e di matrice statale e governativa, bensì di autoregolamentazione dei tifosi e dell’ordinamento sportivo, distinto da quello statale.

L’esperienza britannica dei “Supporters’ Trust”, da considerarsi come punto di riferimento (qui Tifosi e partecipazione popolare: i modelli diffusi in Europa) ci è parsa invece poco o per nulla conosciuta da parte dei promotori del disegno di legge. Nel Regno Unito, la rivoluzione delle associazioni di tifosi (conosciute appunto con il nome di “Supporters’ Trust”) è stata condotta da club che qui definiremmo come ‘provinciali’ e senza alcun intervento statale/governativo volto ad attribuire ‘riconoscimenti’o “‘paternità’”. Nel contesto di situazioni fallimentari di molte società di calcio tra la fine degli anni ‘80 e l’inizio degli anni ‘90, fu il Northampton Town FC ad aprire la strada nel 1992, e da lì iniziarono a nascere organizzazioni democratiche di tifosi nei club, che conquistarono la scena dimostrando con i fatti che la strada della partecipazione/gestione da parte dei tifosi fosse percorribile. Le forme giuridiche utilizzate dai tifosi furono (e tutt’ora sono) Community Benefit Society (CBS) – società senza scopo di lucro, operanti con il principio “una testa un voto”, quindi, paragonabili alle nostre società cooperative – o (dal 2005) Community Interest Company (CIC) – una forma di società “which operate to provide a benefit to the community they serve.  The purpose of a CIC is primarily one of community benefit rather than private profit”(società che operano al servizio della comunità locale. Lo scopo è principalmente un beneficio collettivo piuttosto che individuale. Tra gli esempi si citano le attività di  servizio sociale o le attività economiche i cui utili sono distribuiti a favore della comunità locale).  Nessuna legge ad hoc, dunque, ma l’applicazione dell’impianto legislativo esistente, per regolare nuovi fenomeni sociali. In particolare, le CBS sono utilizzate nei casi in cui i tifosi partecipano (o intendono partecipare) al capitale della società sportiva tramite un soggetto giuridico separato, appunto le CBS (si pensi, ad esempio, ai casi dall’AFC Wimbledon, del MUST – ossia Manchester United Supporters’ Trust – del Tottenham Hotspur Supporters’ Club e del  West Ham Supporters’ Trust) e rappresentano la forma prevalente; le CIC sono utilizzate per i casi in cui i tifosi partecipano direttamente al capitale della società sportiva (che è appunto la CIC)  come si verifica nelle società sportive dei primi gradini della piramide calcistica e, con maggior diffusione, in Scozia (si citano, come esempi, il caso notissimo del FC United of Manchester, il Cyde FC e l’Eastbourne). Con il crescere del fenomeno, il Governo inglese decise saggiamente di non  intervenire con strumenti legislativi, ma con contributi per agevolare la creazione di un coordinamento nazionale dei Supporters’ Trust, gestito dalle medesime organizzazioni/associazioni dei tifosi: un  intervento ben diverso da quello “dirigistico” della proposta di legge italiana qui in esame. Nacque così “Supporters Direct”, che ha favorito la nascita e lo sviluppo di oltre 170 associazioni democratiche di tifosi e quasi 50 club gestiti secondo principi democratici (realtà che, inoltre, come nostro partner di progetti finanziati dalla Commissione europea, ha aiutato la nascita e la costituzione della rete di SinC). Associazioni e club della parte apicale della “piramide calcistica” hanno, quindi, cominciato a confrontarsi con la politica, ma non per ottenere una qualche modifica legislativa, quanto, piuttosto, per spingere sulla riforma del sistema calcio inglese, forti di un supporto trasversale: per fare un esempio, le associazioni di tifosi di club quali Manchester United, Chelsea o Liverpool hanno seguito le esperienze di Northampton, Swansea, Kettering Town, Brentford; come se da noi, fossero i tifosi di Milan, Torino e Roma a imparare da Taranto, Arezzo, Cava de’ Tirreni, Siena, Fasano e Derthona, o dal Centro Storico Lebowski, tutte realtà che sul territorio fanno un ottimo lavoro e a diversi livelli sono coinvolte nella società di calcio, a volte addirittura gestendola direttamente o partecipando alla gestione.

Chiudiamo l’excursus sui Supporters’ Trust per chiarire un equivoco su tale fenomeno. Come indicato, l’espressione “Supporters’ Trust” non indica affatto una categoria giuridica: descrive un fenomeno sociale di associazionismo dei tifosi, indica dunque l’aggregarsi dei tifosi. Tale aggregazione, nell’esperienza italiana, ha assunto la forma prevalente delle “associazioni di persone” e, in misura molto minore, la forma di “società cooperative” o, ancora più raramente, di “fondazione di partecipazione”. Come si vede, forme effettivamente simili alle CIC e alle CBS: pur nella differenza di tempi, storie, lingue e percorsi culturali, i tratti caratterizzanti sono la democraticità (“una testa un voto”) e la funzione sociale in luogo dello scopo utilitaristico. E, non sorprendentemente, in Italia, senza la necessità di aver ottenuto un riconoscimento normativo o una “patente” governativa, i tifosi partecipano (o hanno partecipato) al capitale delle società sportive tramite “associazioni di persone” (si pensi ai casi di Taranto, Arezzo, Derthona, Fasano, Ancona, Modena – tutti aderenti a SinC) oppure partecipano direttamente al capitale delle società sportive (ad esempio, Cava United S.c.p.A.). L’espressione “Supporters’ Trust” è rifluita addirittura nella “Risoluzione del Parlamento europeo del 29 marzo 2007 sul futuro del calcio professionistico in Europa”, nella “Risoluzione del Parlamento europeo dell’8 maggio 2008 sul Libro bianco sullo sport” e nel Libro Bianco medesimo, proprio ad indicare i gruppi di tifosi che si organizzano democraticamente per gli scopi sopra citati.

In Italia, la scarsa conoscenza del fenomeno e una certa dose di superficialità ha portato taluni a pensare che “trust” indicasse l’istituto giuridico del “trust”: con questa notazione non s’intende negare che tale forma giuridica sia utilizzabile, ma riteniamo che, probabilmente, non sia necessario, e allo stesso tempo è maggiormente fruibile e flessibile utilizzare gli istituti domestici.

Con questo preambolo, abbiamo inteso muovere la prima critica sul metodo con cui è stato condotto questo percorso, nella mancanza di condivisione sia con il mondo del tifo che con l’universo delle istituzioni sportive, che si è mostrato negli anni attento al tema. Anche alla luce dei rapporti di forza attuali tra le parti in gioco, ancora evidentemente sbilanciate a sfavore del mondo del tifo: un po’ per storico pregiudizio, un po’ per scarsa conoscenza dell’evoluzione del movimento verso un approccio costruttivo e di dialogo. In tale scenario, si rischia, negli ulteriori passaggi previsti per il testo, un ulteriore peggioramento, vista l’evidente ostilità tuttora presente da parte dei club sportivi. Ciò ci preoccupa per la piega che potrà prendere questa proposta, che – ribadiamo – è positiva nell’intento, ma è stata avanzata con tempi e modalità allo stato attuale fuori luogo, rischia di essere stravolta e, nella peggiore delle ipotesi, potrebbe fornire uno strumento utile solo – ma siamo scettici anche su questo – a provare a sanare con le risorse dei tifosi gestioni aziendali e sportive discutibili. Meno ci preoccupa la posizione di leghe e Federazione Italiana Giuoco Calcio, con cui nel tempo abbiamo collaborato a diversi livelli e che hanno apprezzato il lavoro svolto, con pregi e limiti, dai volontari di SinC e del suo network. In particolare, con la FIGC abbiamo sviluppato il progetto europeo ‘Fans Matter!‘ e stiamo elaborando un ulteriore programma di diffusione di buone pratiche per incentivare la partecipazione attiva e costruttiva dei tifosi nelle relazioni tra club, territorio e base del tifo (come evidenziato nella memoria depositata in occasione dell’audizione informale alla VII Commissione Cultura, Scienze e Istruzione della Camera dei Deputati).

Entrando nel merito della proposta, riscontriamo criticità ancor maggiori.

Il provvedimento è lacunoso, costellato di vuoti e omissioni, e si presta facilmente a essere smontato punto su punto da chi non vuole che ai tifosi sia riconosciuto il giusto ruolo. Come già menzionato nella memoria di 23 pagine presentata in occasione della nostra audizione, le regole attuali consentono già di creare quello che si sta tentando di disciplinare con il provvedimento in oggetto. Insistiamo sulla necessità di investire, e non di intervenire legiferando, sullo sviluppo del movimento, tramite risorse economiche e il coinvolgimento dei tifosi nei processi decisionali (si rinvia agli esempi tedeschi ed inglesi): lo confermano amici del movimento tedesco che, dopo una scorsa del disegno di legge, hanno ritenuto di dirci che in Italia si stia andando oltre le peggiori aspettative. Al contrario, gli investimenti a più livelli garantirebbero il rafforzamento della rete degli stakeholder – istituzioni, leghe, club, tifosi, gruppi – e darebbero linfa alle associazioni dei tifosi: queste potrebbero proseguire con serenità e stabilità il proprio operato, promuovendo la partecipazione attiva a diversi livelli (qui I modelli di influenza dei tifosi. Le 7 vie per la partecipazione attiva(Doc)) che porta con sé responsabilizzazione, economia e impegno sul (e per il) territorio.

Di seguito, riportiamo i nostri rilievi nel merito della proposta. Abbiamo deciso di riportare solo le principali obiezioni, augurandoci che possano condurre ai necessari correttivi. Ribadiamo la nostra perplessità complessiva alla proposta, calata dall’alto senza alcuno spazio effettivo di manovra per chi opera attivamente nel campo da anni. Ciononostante, resta apprezzabile l’interessamento sul tema da parte dei promotori e, nella convinzione che sia necessario un lavoro corale per promuovere la crescita del movimento, auspichiamo che possano esserci ulteriori occasioni di confronto sul tema in sede istituzionale e non.

 

Art. 1.

(Finalità e princìpi)

  1. In coerenza con i valori tutelati dagli articoli 2, 3, secondo comma, 33, settimo comma, e 41 della Costituzione, la presente legge prevede misure volte a promuovere, sostenere e favorire la partecipazione, diretta o indiretta, per il tramite dell’ente di partecipazione popolare sportiva di cui all’articolo 3, al capitale sociale delle società sportive di cui all’articolo 2 da parte dei sostenitori delle stesse, quale forma di coesione e aggregazione sociale, fattore di crescita individuale e collettiva e occasione per la formazione e diffusione di una cultura sportiva autentica e rispettosa dei princìpi di legalità.
  2. Le forme di partecipazione popolare alla titolarità di azioni e quote delle società sportive nonché degli enti pubblici di partecipazione popolare sportiva sono utilizzabili anche dagli enti territoriali e dagli altri enti pubblici.
  3. Ai fini della presente legge, per « società sportive » si intendono le società aventi quale oggetto esclusivo o principale lo svolgimento di attività sportiva a livello agonistico. Per « attività sportiva agonistica » o « sport agonistico » si intende l’attività praticata per il raggiungimento, attraverso la partecipazione a gare, competizioni e manifestazioni sportive, di risultati omologati dall’organismo sportivo competente in forza della normativa nazionale o internazionale, al fine di stilare classifiche e graduatorie.

 

Nell’art. 1 comma 2 ci chiediamo in base a quale principio “forme di partecipazione popolare alla titolarità di azioni e quote delle società sportive” siano estendibili agli “enti territoriali e […] altri enti pubblici”: secondo la prassi emersa dal contesto europeo, uno dei principi-cardine dell’attività di associazioni e cooperative dei tifosi è l’indipendenza dal club e da qualsiasi altra entità che per forma e ordinamento possa influenzare le scelte dei tifosi. Nulla vieta che gli enti territoriali e pubblici possano sostenere le iniziative dei tifosi, ma è fondamentale mantenere ben distinte le rispettive organizzazioni. Ci si chiede in base a quale principio un ente territoriale – o un altro ente pubblico – debba sostenere economicamente una determinata società sportiva privata piuttosto che l’intero ecosistema sportivo locale; una distorsione evidente in materia di legittima concorrenza tra realtà sportive, che potrebbe dar luogo a possibili forme di conflitto di interesse, ad esempio per l’accesso a finanziamenti pubblici del settore sportivo, per l’assegnazione della gestione di spazi e strutture sportive e cosi via.

Riteniamo, in ultima analisi, che l’influenza di enti territoriali e/o altri enti pubblici, i cui vertici sono di nomina politica – dunque non sottoposti alla legittimazione popolare, non essendo espressione dell’intera comunità – possa condurre a strumentalizzazioni politiche nell’attività dell’ente di partecipazione popolare.

 

Art. 2.

(Forme di partecipazione popolare alla titolarità di azioni e quote delle società sportive)

  1. Per le finalità di cui all’articolo 1, comma 1, sono assoggettate a partecipazione popolare:
  2. a) le società sportive dilettantistiche nelle quali ogni socio ha diritto a un solo voto, qualunque sia l’entità o il valore della quota ovvero il numero delle azioni possedute;
  3. b) le società sportive professionistiche in cui l’ente di partecipazione popolare sportiva di cui all’articolo 3 detenga una quota minima dell’1 per cento del capitale nominale.
  4. Ai fini di cui al comma 1, lettera a), le società sportive dilettantistiche sono assoggettate a partecipazione popolare qualora venga tutelata, anche tramite idonei patti parasociali, la costante presenza all’interno della società sportiva dilettantistica dell’ente di partecipazione popolare sportiva in caso di decisioni di particolare rilevanza e lo statuto possegga i requisiti previsti dall’articolo 7, comma 1, del decreto legislativo 28 febbraio 2021, n. 36.
  5. Ai fini di cui al comma 1, lettera b), le società sportive professionistiche sono assoggettate a partecipazione popolare qualora ricorrano le seguenti ulteriori condizioni:
  6. a) sia tutelata, anche tramite idonei patti parasociali, la costante presenza dell’ente di partecipazione popolare sportiva all’interno della società sportiva professionistica in caso di operazioni sul capitale e altre operazioni straordinarie;
  7. b) sia garantito il diritto dell’ente di partecipazione popolare sportiva a nominare un componente del consiglio di amministrazione della società sportiva professionistica qualora possegga una partecipazione pari almeno al 30 per cento in azioni o quote del capitale sociale.

 

L’art. 2, innanzitutto, ignora i casi delle società dilettantistiche costituite come società di capitali (tipicamente, società a responsabilità limitata) che andrebbero, invece, disciplinati. Inoltre, non si comprende come mai non venga presa in considerazione la forma della società cooperativa pur riconosciuta dalle Norme Organizzative Interne FIGC (anche in considerazione che esiste almeno un club, Cava United S.c.p.a., di società gestita direttamente dai tifosi).

Inoltre, alla luce dell’attuale assenza di incentivi rilevanti (o presunti tali, e vedremo il motivo nel prosieguo dell’analisi) per le società assoggettate alla partecipazione popolare, riteniamo che la percentuale dell’1% (art. 2, comma 1, lett. b) sia possibile oggetto di strumentalizzazione, anche in relazione alla soglia del 30% (art. 2, comma 3, lett. b)  per la nomina di un amministratore. Il rischio è di avere società sportive che aprirebbero il capitale sociale in misura minima o comunque al di sotto della soglia del 30%, solo per accedere ad agevolazioni normative, senza avere obblighi di concedere anche una rappresentanza ai tifosi nei meccanismi decisionali. Si propone che il diritto di nomina di un componente dell’organo amministrativo spetti all’ente titolare della quota dell’1% del capitale sociale e che sia introdotto anche il diritto di nomina di un componente dell’organo di controllo.

Gli incentivi si tradurrebbero, di fatto, in un regalo agli imprenditori che, con un’apertura più propagandistica che sostanziale alla partecipazione popolare, potrebbero godere di quelle agevolazioni e quei vantaggi.

In ultimo, riteniamo fondamentale che sia prevista la postergazione della quota dell’ente per la partecipazione alle perdite tenuto conto (i) della limitata forza economica che, soprattutto nei primi di anni vita delle associazioni, comprime l’operatività delle organizzazioni di tifosi e, soprattutto, (ii) della circostanza del fatto che la partecipazione dell’ente non è finalizzata, innanzitutto, al reperimento di risorse finanziarie, quanto al riconoscimento del valore dei tifosi e, in generale, della comunità e territorio di riferimento e dell’apporto di tipo non esclusivamente o strettamente economico/finanziario, in ulteriore considerazione del fatto che i tifosi già supportano finanziariamente la società sportiva in varie forme.

 

Art. 3.

(Enti di partecipazione popolare sportiva)

  1. Sono enti di partecipazione popolare sportiva gli enti che assumono la forma giuridica di società o di associazione, compatibilmente con lo scopo sociale o associativo, che sono adeguatamente rappresentativi dei sostenitori della società sportiva, ai sensi del comma 4, e nel cui statuto o atto costitutivo:
  2. a) sia previsto che a ciascun partecipante spetta un solo voto, qualunque sia il valore o l’entità della quota o della partecipazione detenuta nell’ente di partecipazione popolare sportiva;
  3. b) siano contenute disposizioni che garantiscano all’ente e alla rispettiva struttura organizzativa interna caratteri di inclusione, di partecipazione, di democrazia e di trasparenza;
  4. c) siano prescritti l’obbligo di impiegare gli utili o gli avanzi di gestione per la realizzazione delle attività istituzionali e di quelle a esse direttamente connesse, compreso quanto stabilito dall’articolo 9 del decreto legislativo 28 febbraio 2021, n. 36, e per campagne di sensibilizzazione e di educazione contro la violenza di genere e qualsiasi forma di discriminazione nonché l’obbligo di impiegare quota parte degli utili o degli avanzi di gestione per la riqualificazione e la gestione degli impianti sportivi e per il sostegno delle attività sociali sportive giovanili;
  5. d) sia previsto il divieto di distribuzione, anche in forma indiretta, di utili, avanzi di gestione, fondi, riserve o capitale durante la vita dell’organizzazione a favore di soci, di associati o di partecipanti nonché a favore di componenti degli organi di amministrazione e controllo, di rappresentanti e collaboratori a qualunque titolo e di dipendenti.
  6. Ai fini di cui alla lettera b)del comma 1:
  7. a) se l’atto costitutivo o lo statuto non dispone diversamente, in un’associazione, riconosciuta o non riconosciuta, l’ammissione di un nuovo associato è fatta con deliberazione dell’organo di amministrazione su domanda dell’interessato. La deliberazione è comunicata all’interessato e annotata nel libro degli associati;
  8. b) se l’atto costitutivo o lo statuto non dispone diversamente, l’organo competente ai sensi della lettera a)deve, entro sessanta giorni, motivare la deliberazione di rigetto della domanda di ammissione e comunicarla agli interessati;
  9. c) se l’atto costitutivo o lo statuto non dispone diversamente, chi ha proposto la domanda può, entro sessanta giorni dalla comunicazione della deliberazione di rigetto, chiedere che sull’istanza si pronunci l’assemblea o un altro organo eletto dalla medesima, che deliberano sulle domande non accolte, se non appositamente convocati, in occasione della loro successiva convocazione.
  10. Ai fini di cui alla lettera d)del comma 1,si considerano in ogni caso distribuzione indiretta di utili:
  11. a) la corresponsione ad amministratori, sindaci e a chiunque rivesta cariche sociali di compensi individuali non proporzionati all’attività svolta, alle responsabilità assunte e alle specifiche competenze o comunque superiori a quelli previsti in enti che operano nei medesimi o in analoghi settori e condizioni;
  12. b) la corresponsione a lavoratori subordinati o autonomi di retribuzioni o compensi superiori del 40 per cento rispetto a quelli previsti, per le medesime qualifiche, dai contratti collettivi di cui all’articolo 51 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81;
  13. c) l’acquisto di beni o servizi per corrispettivi che, senza valide ragioni economiche, siano superiori al loro valore normale;
  14. d) le cessioni di beni e le prestazioni di servizi, a condizioni più favorevoli di quelle di mercato, ai soci, associati o partecipanti, ai fondatori, ai componenti degli organi amministrativi e di controllo, a coloro che a qualsiasi titolo operino per l’organizzazione o ne facciano parte, ai soggetti che effettuano erogazioni liberali a favore dell’organizzazione, ai loro parenti entro il terzo grado e ai loro affini entro il secondo grado nonché alle società da questi direttamente o indirettamente controllate o collegate, esclusivamente in ragione della loro qualità;
  15. e) la corresponsione di interessi passivi, in dipendenza di prestiti di ogni specie, superiori di quattro punti al tasso annuo di riferimento, a soggetti diversi dalle banche e dagli intermediari finanziari autorizzati. Il predetto limite può essere aggiornato con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze.
  16. Ai fini del presente articolo, si considera adeguatamente rappresentativo dei sostenitori della società sportiva l’ente i cui sostenitori partecipanti siano in numero pari o superiore al 30 per cento della media degli spettatori paganti a ciascuna gara rientrante nei campionati nazionali cui la società ha partecipato, ivi compresi gli intestatari di tessere di abbonamento, rilevata negli ultimi tre anni e determinata come segue:
  17. a) quanto alle società sportive calcistiche professionistiche, utilizzando il dato riguardante il numero degli spettatori paganti che hanno assistito dal vivo alle gare casalinghe disputate negli ultimi tre campionati, utilizzato per la definizione del radicamento sociale di ciascuna società sportiva professionistica partecipante al campionato di calcio di serie A, ai sensi del decreto legislativo 9 gennaio 2008, n. 9;
  18. b) quanto alle società sportive professionistiche diverse da quelle indicate alla lettera a)e alle società sportive dilettantistiche, utilizzando i dati ufficiali dell’organizzatore del campionato nazionale cui la società ha partecipato.
  19. In via transitoria per un biennio, la percentuale di cui al comma 4, alinea, è ridotta al 10 per cento nel primo anno di applicazione della presente legge e al 20 per cento nell’anno successivo.

 

Art. 3, comma 1. In questa sezione è necessario aggiungere la caratteristica di ‘indipendenza’, sia dalla società sportiva sia da qualsivoglia istituzione pubblica o privata che possa influenzarne le scelte, come da prassi nelle esperienze di partecipazione sviluppate in Europa.

Art. 3, comma 2. In assoluto, riteniamo questo comma in conflitto con il principio di inclusività esplicitato nell’articolo 3, comma 1, lettera b. Non esplicitando le fattispecie in cui può essere esercitato il rigetto, si crea di fatto uno strumento per l’esclusione arbitraria di un potenziale associato. Tipicamente, dovrebbe trattarsi di casi di incompatibilità con l’oggetto sociale dell’ente di partecipazione sportiva, oggetto che tuttavia il progetto di legge non enuclea, nonostante la prassi italiana degli oramai molteplici casi di partecipazione popolare abbia portato a definire un oggetto omogeneo tra i vari casi. Ad esempio, SinC richiede alle associazioni di tifosi che intendono aderire alla propria rete di declinare i seguenti principi-cardine, volti a garantire meccanismi di rappresentatività e democrazia all’interno delle associazioni:

  • principio di democraticità: “una testa un voto”;
  • indipendenza dal club di riferimento e di proprietà dei tifosi e della comunità;
  • forte legame con la comunità di riferimento e promozione dello sviluppo della stessa;
  • principio di non discriminazione;
  • creazione della più ampia base possibile di sostenitori, grazie all’accessibilità di chiunque voglia partecipare;
  • assenza di lucro (no-profit): nessuna persona può rivestire nell’organizzazione una posizione che dia un ritorno economico dall’appartenenza alla stessa (salvo eventuali posizioni di collaboratori dell’associazione, se necessario);
  • di perseguire quanto segue:
    • sviluppare una stretta identificazione ed un senso di appartenenza con la propria società sportiva, per influire nelle scelte della società sportiva ed essere coinvolti nei meccanismi decisionali, promuovendo il punto di vista dei supporters;
    • costruire un rapporto positivo e proattivo con la proprietà e la dirigenza della società sportiva;
    • la salvaguardia del legame storico fra il club sportivo e la comunità locale;
    • preservare la tradizione della società sportiva e dei suoi tifosi;
    • proporre modelli proprietari e di gestione sostenibile della propria società sportiva, che prevedano la partecipazione nella proprietà della società sportiva e la rappresentanza negli organi direttivi della medesima;
    • l’educazione ad una dimensione etica e culturale della passione sportiva, ad un impegno civile contro la violenza e la discriminazione, alla diffusione presso i giovani dell’amore per la pratica dello sport, l’educazione alla sportività e alla lealtà della competizione;
    • il dialogo e la condivisione della conoscenza e delle best practice tra i gruppi di supporters, le società sportive e le istituzioni sportive e politiche, anche al fine di rimuovere barriere ed ostacoli alla partecipazione e alla pratica sportiva.

 

Art. 4.

(Requisiti per l’accesso al diritto di prelazione per l’assegnazione del titolo sportivo)

  1. Le società sportive partecipate da enti di partecipazione popolare sportiva beneficiano del diritto di prelazione di cui all’articolo 5, qualora concorrano le seguenti condizioni:
  2. a) quanto alle società sportive professionistiche, la distribuzione tra i soci, in misura non superiore al 50 per cento, degli utili, nei limiti previsti dalla legislazione vigente; quanto alle società sportive dilettantistiche, il pieno rispetto delle disposizioni dell’articolo 8 del decreto legislativo 28 febbraio 2021, n. 36;
  3. b) il reinvestimento, in misura pari almeno al 25 per cento degli utili di ciascun esercizio, nel potenziamento del settore giovanile maschile e femminile della società sportiva o di società alla stessa affiliate, anche esercenti discipline sportive differenti rispetto a quella originaria o prevalente, e in misura pari almeno al 25 per cento nella realizzazione e nel potenziamento di attività sportive per i disabili, comprensive di attività integrate con i normodotati, fermo restando quanto previsto dalla lettera h)del comma 1 dell’articolo 7 del decreto legislativo 28 febbraio 2021, n. 36;
  4. c) la previsione statutaria, modificabile esclusivamente con il voto favorevole di una maggioranza che rappresenti almeno la metà del capitale sociale, secondo cui le riserve accantonate non possono essere distribuite tra i soci e, in caso di scioglimento della società sportiva, sono destinate ad associazioni sportive dilettantistiche senza scopo di lucro individuate dallo Stato tra quelle situate nel medesimo comune della società sportiva sciolta. Alle associazioni sportive di cui al periodo precedente è vietata la trasformazione in enti lucrativi. In caso di inosservanza del divieto, si procede alla restituzione di quanto percepito, maggiorato dell’interesse legale. Tali somme sono destinate ad altre associazioni sportive dilettantistiche che rispettino i predetti requisiti.
  5. Il venir meno di una delle condizioni previste alle lettere a), b)e c)del comma 1 per un esercizio sociale comporta l’inapplicabilità alla società sportiva a partecipazione popolare, per il medesimo anno, del diritto di prelazione previsto dall’articolo 5.
  6. Qualora l’ente di partecipazione popolare sportiva ometta di comunicare al Dipartimento per lo sport della Presidenza del Consiglio dei ministri i nominativi dei propri partecipanti e di coloro che rivestono cariche nell’ente stesso, alla società sportiva partecipata dallo stesso ente non si applica il diritto di prelazione previsto dall’articolo 5. Il diritto di prelazione di cui alla presente legge si applica alle società sportive a partecipazione popolare, in presenza degli altri requisiti prescritti, a decorrere dall’anno successivo a quello in cui il citato ente di partecipazione popolare sportiva effettua la comunicazione di cui al primo periodo.

 

Art. 4, comma 1, lettera c. “La previsione statutaria, modificabile esclusivamente con il voto favorevole di una maggioranza che rappresenti almeno la metà del capitale sociale”. Come già si verifica con i diritti particolari di cui godono i tifosi nello statuto della società sportiva in casi già esistenti (es. Taranto FC 1927), riteniamo che si debba prevedere il voto favorevole da parte dell’ente di partecipazione popolare; anche in questo caso, altrimenti, avrebbe gioco facile nel far valere le proprie esclusive ragioni l’azionista principale o il proprietario della maggioranza. La norma ignora completamente la positiva esperienza delle realtà italiane di quelle società sportive (costitute come società a responsabilità limitata, sia professionistiche sia dilettantistiche) i cui statuti prevedono una serie di diritti particolari dell’associazione dei tifosi che partecipa al capitale della società sportiva, indipendentemente dalla quota posseduta (per le società per azioni lo stesso risultato si potrebbe raggiungere tramite l’emissione di categorie speciali di azioni riservate all’ente), che prevedono la necessità del voto favorevole dell’associazione dei tifosi in caso di operazioni straordinarie quali fusioni, scissioni, scorpori, conferimento dell’azienda sportiva, mutamento della denominazione sociale, spostamento della sede legale al di fuori del Comune, cessione del titolo sportivo; ossia quelle vicende trasformative della società che ne snaturano o compromettono il legame con il territorio e la storia sportiva della società in questione. Tali diritti statutari dovrebbero essere inseriti al fine di poter beneficiare della prelazione per l’acquisto del titolo sportivo.

 

Art. 5.

(Diritto di prelazione per l’assegnazione del titolo sportivo)

  1. Nel caso di perdita del diritto al titolo sportivo di una società sportiva per intervenuto accertamento dello stato di insolvenza o per altre cause previste dall’ordinamento, alle società sportive a partecipazione popolare di cui all’articolo 2, a parità di condizioni e di garanzie, anche patrimoniali, spetta un diritto di prelazione per l’assegnazione del medesimo titolo sportivo quando ricorrono tutte le seguenti condizioni:
  2. a) l’ente di partecipazione popolare che ne detiene le quote o le azioni sia in possesso dei requisiti previsti dalla presente legge;
  3. b) la società sportiva a partecipazione popolare abbia i requisiti di cui all’articolo 4, comma 1, lettere a)e b);
  4. c) nello statuto della società sportiva a partecipazione popolare sia inserita la previsione di cui all’articolo 4, comma 1, lettera c);
  5. d) la società sportiva a partecipazione popolare abbia la sede ed eserciti l’attività principale nel medesimo comune o, ove consentito dai regolamenti federali per le rispettive discipline a squadre e in mancanza di soggetti interessati nel medesimo comune, nella medesima provincia o città metropolitana ovvero, in ulteriore mancanza di soggetti interessati, nella medesima regione in cui la società sportiva che deteneva originariamente il titolo sportivo aveva la propria sede ed esercitava l’attività principale.

 

Art. 5, comma 1. Il passaggio “a parità di condizioni e di garanzie, anche patrimoniali” rende tecnicamente ininfluente l’agevolazione, alla luce delle attuali dinamiche di assegnazione del titolo sportivo post fallimento. Riteniamo, altresì, che tale diritto andrebbe esplicitato, conferendo d’ufficio all’ente di partecipazione popolare il titolo sportivo, a fronte delle legittime spese per l’aggiudicazione.

 

Art. 6.

(Attività del Dipartimento per lo sport della Presidenza del Consiglio dei ministri)

  1. Per le finalità di cui alla presente legge, il Dipartimento per lo sport della Presidenza del Consiglio dei ministri:
  2. a) vigila sul rispetto dei requisiti di cui agli articoli 2, 3 e 4;
  3. b) istituisce, nell’ambito del Registro nazionale delle attività sportive dilettantistiche, una sezione con l’elenco, per singola federazione sportiva nazionale, delle società sportive a partecipazione popolare in possesso dei requisiti di cui agli articoli 2 e 4;
  4. c) istituisce, nell’ambito del Registro nazionale delle attività sportive dilettantistiche, una sezione relativa agli enti di partecipazione popolare sportiva di cui all’articolo 3.
  5. In caso di perdita dei requisiti di cui agli articoli 2, 3 e 4, il Dipartimento di cui al comma 1 del presente articolo provvede d’ufficio alla cancellazione degli enti di partecipazione popolare sportiva dalla relativa sezione del Registro nazionale delle attività sportive dilettantistiche.

 

Art. 7.

(Costituzione e iscrizione degli enti di partecipazione popolare sportiva nella sezione del Registro nazionale delle attività sportive dilettantistiche)

  1. Al fine di beneficiare del diritto di prelazione di cui all’articolo 5, la società sportiva a partecipazione popolare è tenuta ad avere al proprio interno un unico ente di partecipazione popolare sportiva titolare di azioni o di quote.
  2. Per i primi diciotto mesi a decorrere dalla data di entrata in vigore del regolamento di cui all’articolo 9, comma 2, la costituzione e l’iscrizione nella sezione del Registro nazionale delle attività sportive dilettantistiche di cui all’articolo 6 sono riservate, nell’ambito delle società sportive di riferimento, agli enti di partecipazione popolare sportiva che dimostrino un’attività di più lunga durata, tenuto conto della partecipazione popolare e dell’azionariato reale diffuso.
  3. Decorso il termine di cui al comma 2, in assenza di costituzione e iscrizione di un ente di partecipazione popolare sportiva nella sezione del Registro nazionale delle attività sportive dilettantistiche di cui all’articolo 6, la costituzione è promossa dall’ente che per primo abbia manifestato la propria disponibilità al Dipartimento per lo sport della Presidenza del Consiglio dei ministri. La durata massima dell’incarico è di dodici mesi.
  4. Il controllo sulla costituzione di un ente di partecipazione popolare sportiva è esercitato dal Dipartimento per lo sport della Presidenza del Consiglio dei ministri, cui spetta la tenuta della sezione del Registro nazionale delle attività sportive dilettantistiche di cui all’articolo 6.

 

Art.7, comma 2. Il passaggio “La costituzione e l’iscrizione nella sezione del Registro nazionale delle attività sportive dilettantistiche di cui all’articolo 6 sono riservate, nell’ambito delle società sportive di riferimento, agli enti di partecipazione popolare sportiva che dimostrino un’attività di più lunga durata, tenuto conto della partecipazione popolare e dell’azionariato reale diffuso” è in conflitto con il principio di rappresentatività esplicitato nell’articolo 3. In questo modo, si rischia di aprire lo spazio a enti che non sono rappresentativi del territorio a scapito di realtà associative che, pur avendo meno anni di attività, potrebbero essere maggiormente partecipate e rappresentative della comunità. Riteniamo, dunque, che questo passaggio debba essere rimosso o, in alternativa, che si debba prevedere un meccanismo automatico di rinnovo, senza vincoli e attraverso passaggi democratici, dell’intero direttivo dell’ente nel momento in cui accede al registro.

Manca, inoltre, ed è uno degli aspetti maggiormente importanti e critici, qualsiasi disciplina relativa al conflitto in caso di presenza di una pluralità di enti sul territorio. Ma soprattutto, il quesito di fondo è come sia possibile individuare in maniera astratta quali sono le caratteristiche (caso per caso, tempo per tempo) che un ente di tifosi deve avere perché possa essere considerato rappresentativo (anche con riferimento a realtà locali profondamente differenti tra di loro): si tratta del quesito fondamentale del fenomeno che il progetto di legge non disciplina; forse perché è impossibile imbrigliare in una legge e per principi astratti il fenomeno della partecipazione dei tifosi nella società sportiva.

Nell’esperienza europea, ivi inclusa quella italiana, sono stati i tifosi medesimi nelle singole realtà ad affermarsi e a incidere, anche tramite la partecipazione al capitale sociale, nelle varie società sportive, secondo le circostanze del caso.

Una disciplina “dall’alto” corre, invece, il rischio di comportamenti opportunistici da parte di imprenditori che potrebbero (e sono numerosi già i casi) costituirsi enti “amici” di tifosi per darsi una patente di rappresentatività in realtà costruita a tavolino e non effettivamente rappresentativa delle tifoserie di riferimento.

 

Art. 8.

(Clausola di invarianza finanziaria)

  1. Dall’attuazione della presente legge non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
  2. Il Dipartimento per lo sport della Presidenza del Consiglio dei ministri provvede all’attuazione degli articoli 6 e 7, comma 4, nell’ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.

 

Riteniamo imprescindibile l’impegno, anche economico, da parte dello Stato nel supporto allo sviluppo dell’intero movimento: dalla creazione di tavoli condivisi con i tifosi e tutti gli stakeholder del calcio e dello sport in generale, all’investimento culturale sul ruolo virtuoso che possono avere i tifosi nei processi decisionali e nel salvataggio di club in crisi. Tali azioni, se mirate e portate avanti in coordinamento con le federazioni nazionali, adattandole ai diversi contesti del tifo per ogni disciplina, porterebbero a indubbi benefici, consentendo di risparmiare costi sociali, di salvaguardare i posti di lavoro e di garantire la continuità storica delle realtà sportive locali. Riteniamo, infatti, che eventuali sgravi o vantaggi fiscali, a meno che non si parli di club a maggioranza di proprietà dei tifosi, paventati nelle diverse bozze del testo, possano introdurre distorsioni e si prestino facilmente a strumentalizzazioni da parte di club che a fronte di una ininfluente partecipazione dell’1% ottengono significativi vantaggi.

La vera forza del coinvolgimento dei tifosi passa proprio dal renderli parte attiva, cosciente e costruttiva nei confronti di club e comunità. Avvicinandosi alle dinamiche sociali locali, un club si garantirebbe una maggior partecipazione alle manifestazioni sportive (con conseguente crescita dei ricavi diretti e indiretti), maggiore potere contrattuale dei club nei confronti degli sponsor, una crescente responsabilizzazione del tifo (che mitiga il rischio di episodi di violenza, intolleranza e discriminazione di ogni genere), e di conseguenza più contributi economici diretti e indiretti, utili per centrare l’obiettivo della sostenibilità.

 

Art. 9.

(Disposizioni finali)

  1. La presente legge entra in vigore a decorrere dall’anno successivo a quello in corso alla data della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
  2. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per lo sport e i giovani, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, da emanare entro il termine di cui al comma 1, è adottato il regolamento per la definizione:
  3. a) dei requisiti degli enti di partecipazione popolare sportiva di cui all’articolo 3, comma 1, lettera b);
  4. b) delle modalità di reinvestimento degli utili di cui all’articolo 4, comma 1, lettera b).

 

Art. 9, comma 2, lettere a e b. Riteniamo che questi aspetti vadano esplicitati prima dell’approvazione definitiva del provvedimento, in quanto estremamente importanti per inquadrare il provvedimento e, come tali, meritevoli di un dibattito a livello politico.

 

In conclusione, allo stato dell’arte, non riteniamo questo possa considerarsi un passo in avanti, anzi. In alcuni passaggi si introducono aspetti che presentano diverse gravi criticità e che vanno a snaturare l’intento originario – lodevole, lo ribadiamo– della proposta. Auspicando una netta rettifica, l’associazione Supporters in Campo e le sue oltre 40 realtà affiliate restano a disposizione per dare il proprio contributo affinché questa iniziativa parlamentare non risulti un’occasione persa ma dia un supporto vero a quello che, anche in assenza di una legge ad hoc, i tifosi in tanti contesti hanno realizzato con successo.

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