Alla scoperta dell’Ideale Bari Calcio, realtà sportiva di Bari nata dalla ribellione al calcio moderno, gestita e finanziata dai tifosi, con un’intervista a 360° gradi sul calcio italiano e su come, ripartendo dai tifosi, si possano costruire grandi storie di partecipazione per ridare un’anima al calcio nazionale.

Il Community Club Ideale Bari è nato ufficialmente il 28 maggio 2012 con il deposito dell’atto costitutivo con il nome “Ideale” scelto per rendere omaggio alla prima squadra di Bari: nel 1908 nacque infatti l’Ideale Bari e da una fusione con il Liberty Bari, nato nel 1909, negli anni Venti nacque l’AS Bari.

 

La scheda

L’Ideale Bari Calcio è un’associazione sportiva dilettantistica senza scopo di lucro fondata il 28.5.2012 e gestita e finanziata interamente dai propri tifosi.

Scopo dell’associazione è promuovere l’attività sportiva “dal basso”, per tornare alla centralità dello sport in quanto tale e non come mero strumento del business. L’ideale nasce appunto dalle ceneri di una nefasta epoca, quella del calcio moderno e delle sue degenerazioni : business, politica, interessi, calcioscommesse accordi sottobanco, il calcio dei pochi ma ricchi e della repressione.

Per far ciò, l’A.s.d. Ideale Bari è regolarmente iscritta al CONI ed affiliata alla FIGC. La nostra squadra ha partecipato al campionato UISP 2012-2013, distretto provinciale Bari e Bat, vincendo la prima fase; Il 2 Aprile del 2016, con il successo di Castellana Grotte, ha vinto il Campionato di terza categoria provinciale (stagione 2015/2016) guadagnando, sul campo, la promozione. Solo due anni dopo (stagione 2017/2018), con la vittoria del campionato di seconda categoria in finale playoff contro il F. Acquaviva, è salita in Prima Categoria, attuale categoria di appartenenza.

Obiettivo futuro, sul campo e fuori, è continuare a portare avanti i principi e i valori che hanno portato alla nascita dell’Ideale, restando lontani dalle logiche economiche e di potere che permeano il mondo del calcio, facendo dell’azionariato popolare l’unico strumento di lotta alle logiche che contestiamo.

Perchè noi riteniamo che il calcio sia colore, aggregazione, che sia campetti in terra battuta ma senza interessi economici di sorta, che sia amicizia e divertimento, che sia libertà di vivere le proprie passioni.

Indirizzi web
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L’intervista: Ripartire dai tifosi

Il calcio italiano negli ultimi 30 anni ha attraversato un processo di profondo cambiamento che ha portato ad una radicale trasformazione anche dell’essere tifoso. In primo luogo, che vuole dire essere tifoso, oggi? E come era il tifoso di ‘ieri’?

Il ruolo del tifoso, nel sistema calcio, è radicalmente cambiato rispetto al passato. Si è assistito, negli ultimi anni, ad un processo inesorabile che ha portato sempre più tifosi ad allontanarsi dagli stadi. Il prodotto di tale processo è stato un tifoso più fedele alla poltrona piuttosto che al suo posto allo stadio. Riteniamo che in passato il tifoso fosse più coinvolto nella vita della propria squadra di calcio, attraverso una partecipazione attiva ed una presenza, anche fisica, che ormai è quasi totalmente assente.

Quando secondo te questa evoluzione è partita e quali fattori l’hanno provocata e alimentata? Quali le trasformazioni più evidenti rispetto a quegli anni ’80 in cui il tifo italiano era tra i più ammirati d’Europa?

Le cause principali sono da individuarsi nel caro biglietti abbinato alla politica dei prezzi concorrenziali delle pay-tv, nelle forti leggi repressive che si sono susseguite dalla fine degli anni ’80 in poi e, in alcuni casi, nel mancato rifacimento degli impianti, alcuni sempre più fatiscenti e inadeguati.

All’interno delle tifoserie quali sono gli elementi che le hanno caratterizzate nel tempo, ma che si stanno perdendo rispetto al passato? Come, secondo te, repressione e ipercommercializzazione del calcio hanno influito a cambiare il volto degli stadi?

Le tifoserie erano caratterizzate da partecipazione collettiva ed aggregazione sociale. Specie nei gruppi organizzati, la domenica era l’espressione di un lavoro che durava in settimana attraverso le riunioni, lo scambio di opinioni, l’organizzazione di trasferte, coreografie e quant’altro. Oggi, questa partecipazione settimanale è andata scemando e permane solo in alcune realtà. La repressione e la ipercommercializzazione del calcio hanno sicuramente avuto un ruolo determinante. La repressione, per forza di cose, ha fatto sì che molta gente – colpita da diffide o sanzioni penali per reati da stadio – abbandonasse gli stadi, per non farvi più ritorno.

Cosa c’è assolutamente da salvare dello spirito che ha animato le curve nel passato e come farlo? Quali i tratti che sono emersi negli ultimi anni che invece non condividi?

Senza dubbio, rispetto al passato, andrebbe preservata la genuinità dell’essere tifoso, che si esprimeva in uno striscione goliardico, piuttosto che in uno sfottò all’avversario di turno, oggi sistematicamente demonizzati in nome di un buonismo dilagante. Il folclore delle curve, e il loro essere voce fuori dal coro, andrebbe preservato attraverso una presa di coscienza del fatto che il tifoso è il vero valore aggiunto del sistema calcio e non un elemento da allontanare. Dei tratti emersi negli ultimi anni, non condividiamo gli interessi economici che hanno inquinato alcune realtà e parimenti l’eccessivo volersi mettere in mostra, apparire ad ogni costo da parte di alcuni.

Quale il ruolo dei media, tradizionali e non, in questa involuzione? Anche il mondo dell’informazione attorno al calcio è cambiato, cosa c’è di buono e dove invece vedi che ci sono ancora seri problemi?

I media hanno avuto un ruolo determinante in questa involuzione in quanto hanno dato enorme spazio ad aspetti negativi che hanno tristemente colpito il mondo del tifo, salvo poi non dare eco alle tantissime iniziative sociali che si sono susseguite in tante piazze. Ciò ha indotto nel corso degli anni una larga parte dell’opinione pubblica a individuare nell’ultras un soggetto pericoloso, da guardare con diffidenza o peggio ancora da compatire. Di buono ci sono i giornalisti, a volte appartenenti a testate minori o freelance, che diligentemente portano avanti un’informazione equilibrata, descrivendo il mondo del tifo senza i soliti stereotipi e preconcetti.

Dove interverresti? E cosa manca all’informazione del settore per fare un salto di qualità?

Molti giornalisti che si sono occupati del tifo nei media tradizionali (tv e carta stampata) non hanno alcuna preparazione specifica per poter descrivere un fenomeno sociale che esiste da quasi cinquant’anni, né tantomeno hanno una conoscenza diretta dello stesso. Il più delle volte sono semplici giornalisti sportivi che si trovano a dover fare servizi su un mondo che non conoscono, o conoscono davvero marginalmente. In altri termini, non si può descrivere la curva stando comodamente seduti in sala stampa. Per poter fare un salto di qualità, pertanto, occorre la conoscenza diretta di ciò che accade nelle curve e del perché accade.

Oltre 150 club falliti negli ultimi 15 anni, probabilmente una delle ferite più grande che ha lasciato la crisi e che tutt’ora vive il calcio italiano. Di finti rinnovamenti si parla da venti anni, mancano però soluzioni valide e serve che ci sia un’azione che parta da tutti i soggetti coinvolti. Dove intervenire per invertire la rotta?

La crisi del calcio italiano è sicuramente determinata da una serie di fattori. Per quanto concerne il fallimento di molti club, che rappresenta il riflesso immediato di tale crisi, sicuramente un ruolo determinante lo hanno avuto le Istituzioni sportive che non hanno esercitato alcun controllo nei confronti di alcuni presidenti e/o addetti ai lavori che per anni sono riusciti a speculare beatamente sulla passione dei tifosi, a volte rilevando società storiche del panorama calcistico italiano, salvo poi farle fallire miseramente una volta che erano state svuotate da ogni utile. Servirebbe, quindi, un maggiore controllo diffuso. I tifosi possono e devono avere un ruolo di vigilanza all’interno delle società sportive, devono essere messi nelle condizioni di conoscere tutto quello che avviene nel club.

Come vedi invece l’attività delle associazioni di tifosi che nell’ultimo decennio sono emerse tra le tifoserie? Supporters’ Trust, azionariato popolare e collette varie, ci sono stati esempi nati sia da gruppi formati da ultras sia da ”normali” tifosi, come interpreti questa novità nel calcio italiano?

Queste forme di partecipazione dei tifosi sono preziosissime in quanto permettono l’esercizio di quella attività di controllo di cui si è parlato in precedenza, ma non solo. Quando un tifoso ha la possibilità, come accade nelle nuove realtà che stanno emergendo in questi anni, di prendere parte attivamente alle decisioni della società per la quale fa il tifo aumenta il senso di appartenenza alla stessa. Si assiste quindi ad un evoluzione del ruolo del tifoso, il quale da mero spettatore diventa una parte imprescindibile della stessa società. Tali forme di partecipazione andrebbero incentivate in quanto assolutamente positive. Quella che è una novità del calcio italiano è una prassi consolidata in diversi paesi d’Europa. Le tifoserie di Germania e Inghilterra sono state protagoniste di diverse azioni di protesta che hanno unito i tifosi anche di altre società.

Quali pensi siano i temi rilevanti sollevati e quali le realtà europee da studiare per cogliere buoni spunti anche per i tifosi italiani?

Specialmente in Germania, i tifosi hanno fatto pressione sulle società affinché si opponessero alla modifica della regola del 50+1, che permette ai tifosi che sono membri di un club di poterne detenere la maggioranza ed evitare che la società possa essere interamente acquistata da investitori esterni. Tale campagna, che ha unito diverse curve tedesche, ha consentito di difendere tale regola che rappresenta una evidente salvaguardia per i tifosi/soci. Il modello tedesco, con i giusti correttivi e le dovute proporzioni, potrebbe tranquillamente essere applicato in Italia. Le associazioni dei tifosi, ma anche le curve, ben potrebbero essere parte di un movimento che miri alla modifica dei regolamenti federali.

Quali iniziative o azioni compiute da gruppi organizzati in Europa ti ha colpito di più? Cosa manca all’Italia per poter svolgere una sana pressione costruttiva nei confronti del mondo del calcio nostrano, e riuscire ad incidere come accaduto in altri Paesi?

La battaglia portata avanti dai gruppi in Germania è senza dubbio tra le più condivisibili. In Italia, probabilmente a seguito di ragioni storiche, si assiste ad un eccessivo campanilismo tra realtà locali. Ciò ha da sempre costituito un grosso ostacolo al condurre battaglie in modo unitario. Inoltre, l’intero movimento ultras appare ormai fortemente indebolito rispetto al passato, perciò non sembra poter esercitare una efficiente azione di pressione come accaduto in altri Paesi.

Secondo te il coinvolgimento dei tifosi nella vita del club può essere una valida risposta per migliorare il calcio? Pensi che questo tipo di iniziative possano dare nuova linfa e aprire un nuovo percorso diverso anche per i gruppi ultras?

Certamente la partecipazione dei tifosi, o più nello specifico di gruppi ultras, all’interno dei club può rappresentare un miglioramento per questo bellissimo sport. Inoltre, l’ultras all’interno della società ha la possibilità di portare le proprie istanze e orientare alcune decisioni nel rispetto dei propri principi. Tuttavia, tale contributo deve essere sempre e solo animato dalla semplice passione e mai dall’interesse personale o economico.

Dove i tifosi possono dare un contributo e quali limiti vedi per le attività delle associazioni? Dove finora si è sbagliato e si può migliorare? E perché spesso c’è incomunicabilità tra tifosi ‘normali’ e gli stessi ultras?

I tifosi possono dare un contributo importante sotto molteplici aspetti. In primis, come detto, possono svolgere un ruolo di vigilanza sulla corretta gestione societaria. In secondo luogo possono dare un contributo, sia in termini economici, sia per quanto concerne idee, proposte, pareri su vari aspetti (dalla scelta del colore di una maglia, all’orario di una partita, ecc.). Uno dei limiti, almeno fino ad oggi, tra l’attività delle associazioni è stato lo scarso dialogo tra le stesse. Sicuramente un maggior confronto a livello nazionale sarebbe auspicabile. L’incomunicabilità tra tifosi ed ultras può essere dipesa dal fatto che molti tifosi vedono nell’ultras un elemento socialmente pericoloso. Parimenti, vi sono molti ultras che, del tutto erroneamente, ritengono di non doversi in alcun modo confrontare con i tifosi. La partecipazione all’interno di meccanismi associativi degli uni e degli altri può aiutare a ridurre la distanza tra queste due diverse categorie.

Stadio, si parla molto della costruzione di nuovi stadi, indubbiamente un’esigenza vera visto anche lo stato di alcune strutture. Quali i pro e i contro, emersi anche dalle esperienze nostrane ma guardando anche all’estero, di questi nuovi impianti multifunzionali? I tifosi andrebbero coinvolti maggiormente in queste nuove opere?

Effettivamente esistono in Italia delle strutture totalmente inadeguate ad ospitare eventi sportivi per la loro vetustà. Tuttavia, da ormai diversi anni, il processo di rifacimento degli stadi in Europa ed in Italia, risponde ad un preciso intento: lo stadio deve diventare un centro di interessi economici, in cui il tifoso può non solo vedere la partita della propria squadra, ma anche trascorrere del tempo nelle strutture messe a disposizione, ovvero vedere un film, trascorrere una serata al ristorante o comprare un gadget del suo club. Ora, lungi dal condannare tale inesorabile processo di adeguamento evidentemente animato dal marketing più che da ragioni di necessità o sicurezza, sarebbe opportuno che negli stadi – anche di nuova costruzione – fossero riservati dei settori in cui poter vivere liberamente il proprio tifo.

Dialogo istituzionale, indubbiamente facendo un salto in avanti e assumendo ruoli di responsabilità nei club, i tifosi sono necessariamente indotti a strutturare delle relazioni con il mondo istituzionale, pensi che sia una via percorribile, e utile, il confronto diretto con un mondo percepito lontano dai tifosi?

I tifosi, con una adeguata preparazione, possono certamente assumere dei ruoli di responsabilità e rapportarsi alle istituzioni meglio di tanti pseudo dirigenti, che pur stando da anni nel mondo del calcio non hanno alcuna preparazione specifica. Il confronto diretto è non solo possibile, ma necessario.

Quali i temi su cui focalizzare l’attenzione? Quali sono secondo te sono le priorità per uscire dalla palude del calcio italiano?

Il tema principale per risollevare le sorti del calcio è rivalutare la figura del tifoso, negli ultimi anni rilegato al ruolo di mero cliente di un prodotto che, a dispetto delle intenzioni di chi governa il calcio, è sempre meno appetibile sul mercato. Il paradosso è evidente: si guarda con ammirazione agli stadi esteri, sempre pieni in ogni ordine di posto, quando da anni si è fatto di tutto per svuotare gli stadi in Italia.

Pensiero libero finale

L’invito è quello di interessarsi al calcio, e più in generale allo sport, in maniera concreta. Prendere parte alle attività delle associazioni presenti sul territorio che, in maniera silenziosa e tra tanti sacrifici, portano avanti valori autentici ormai dimenticati.

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