E’ stata pubblicata la seconda edizione del report di Deloitte ‘Football Fan Experience 2024’(link), una ricerca che, riporto dal comunicato: analizza le aspettative e i comportamenti dei tifosi di calcio della Serie A in Italia. Lo studio esamina l’esperienza complessiva offerta dai club, il livello di coinvolgimento e soddisfazione, e identifica le tendenze future in tre aree principali: esperienza del tifoso, interazione con il club e valori e iniziative di sostenibilità.

In questa edizione è interessante a pagina 10 il risultato del sondaggio svolto tra i tifosi della Serie A sull’interesse per il futuro di un sempre maggiore coinvolgimento attivo nella proprietà del club, in particolare: il 63% dei tifosi sfegatati e il 42% dei tifosi appassionati sono disposti a investire nel proprio club, con una spesa media annua di 119 euro. È interessante notare che circa il 70% degli intervistati non investirebbe più di 150 euro all’anno, con metà del campione disposto a spendere tra 50 e 150 euro.

Due considerazioni su questo studio. La prima è di carattere tecnico: a nostro modo di vedere l’uso della definizione di azionariato popolare è, come sempre, scorretta, e vi rimando al post: Tifosi e Partecipazione attiva: le differenze tra partecipazione popolare / azionariato popolare / azionariato diffuso / crowdfunding dei tifosi. In primo luogo perché, ipotizzando l’intento dell’autore di delineare la figura del tifoso che acquista quote singolarmente questo già avviene in realtà come Juventus e Lazio, quotate in Borsa, e avveniva prima del delisting alla Roma, che credo mai nessuno abbia definito club a ‘azionariato popolare'(per quanto incorretta questa definizione).

Il primo uso di questa definizione risale agli anni ’90 usato in maniera improvvida da qualche giornalista del tempo per definire i processi di privatizzazione di beni pubblici che venivano venduti a piccole quote ai cittadini. Da allora, purtroppo, è spesso ricorrente nel mondo sportivo anche se priva di qualsivoglia base tecnica, e sopratutto profondamente diversa dalle realtà sportive a partecipazione popolare del modello tedesco, dei Socios spagnoli o dei Supporters’ Trust inglesi(qui Azionariato popolare vs vera partecipazione popolare)

In secondo luogo, e qui ancora più evidente il cortocircuito, perché se si fa riferimento ai club della Bundesliga questi non sono assolutamente club a ‘azionariato popolare’ ma bensì associazioni registrate(Eingetragener Verein) che, o controllano l’intero club, o sono proprietarie della maggioranza delle quote attraverso l’associazione, sfruttando la deroga del 50 + 1, attraverso forme societarie che vanno dalle equivalenti Srl, Spa e società in accomandita semplici e per azioni(per approfondire Tifosi e partecipazione popolare: i modelli diffusi in Europa). Quindi non il singolo tifoso che possiede una quota ma un grande contenitore democratico, inclusivo, aperto e indipendente che risponde all’assemblea degli associati(qui il Modello tedesco).

La seconda considerazione è che lo studio evidenzia una crescente domanda di coinvolgimento attivo della base del tifo, elemento che non deve passare inosservato, determinato dalla volontà di incidere o quantomeno provare a portare le proprie istanze all’interno dei processi decisionali.

Per approfondire:

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